L’incertezza spaventa, più della volatilità. Per questo a preoccupare principalmente i mercati non è tanto il crollo del prezzo del petrolio – che per i futures di maggio è sceso per la prima volta sottozero, toccando meno 37,63 dollari al barile – ma il fatto che non ci sia una previsione attendibile sulla fine della crisi che attraversiamo. “All’inizio non si sapeva quale fosse il punto di caduta. Ed è ancora difficile sapere quando e come si tornerà alla normalità”, dice Massimo Nicolazzi, docente di Economia delle fonti energetiche all’Università di Torino. Il lockdown, imposto in gran parte del mondo per la pandemia di coronavirus, non fa intravedere spiragli sulla ripartenza. E non si sa quando l’economia, in stallo in tanti settori, riuscirà a tornare a regime. Un’immobilità che, da tre mesi, blocca la vita di tutti e di tutto. Non si viaggia più e la riduzione degli spostamenti causa inevitabilmente una flessione della domanda di carburante. “Gli aerei si alimentano con circa l’8 per cento della produzione petrolifera, mentre il trasporto su gomma con il 49 per cento”, spiega il professore, autore del libro Elogio del petrolio. Titolo in questo momento ironicamente in controtendenza, se si pensa che il rischio di vedere trasformato l’oro nero in acqua sporca è più che mai concreto. “La domanda è caduta ad aprile del 30%, quasi 30 milioni di barili/giorno. La produzione è rimasta costante e per quei trenta milioni bisognava trovare un posto dove sistemarli. Avere petrolio e non sapere dove metterlo lo fa decadere a rifiuto”, spiega l’esperto. Il riferimento è al sovrastoccaggio forzato del greggio – il cui valore oggi sta lentamente risalendo intorno ai 30 dollari al barile contro i 60 di media del 2019 – anche a causa della difficoltà di smaltirlo. Per questo i compratori si defilano e piuttosto che avere materiale da sistemare preferiscono svenderlo e liberarsene.
Secondo Flightradar24, servizio di tracciamento di voli in tempo reale, lo scorso marzo ci sono state 145 mila traversate in meno rispetto allo stesso periodo del 2019; in Italia il calo è stato del 65,9 per cento. Dati che non sono destinati a cambiare più di tanto nel breve termine e alcune compagnie denunciano flotte a terra fino al 90 per cento del totale. Fino a quando? Non si sa. Così, mentre di norma allo scadere dei futures impazzano le contrattazioni, oggi si fugge verso termini sempre più lontani: “I magazzini sono colmi, le petroliere in rada aspettano giorni prima di scaricare. Non sapendo dove fosse il punto di caduta i produttori sotto l’etichetta Opec plus all’inizio hanno reagito ciascuno per sé, difendendo le proprie quote di mercato anziché i prezzi e, in qualche caso, arrivando addirittura ad aumentare la produzione. Hanno risposto a una perdita di 30 milioni di domanda, ad aprile, promettendo un taglio di produzione di 10, a maggio. Che andasse a picco il prezzo e alle stelle il costo dello stoccaggio era solo fisiologico”. E adesso? “Un punto di caduta si comincia forse a intravvedere. Aumentano i produttori americani fuori mercato e, dunque, in prospettiva quella resa diminuirà di volume. E i 10 milioni di tagli a maggio sono diventati quindici. Ci sono segnali di un qualche titubante inizio di ripesa dei consumi in Cina e forse anche negli Stati Uniti. Se i futures sono stati sufficientemente spalmati nel futuro è possibile che a giugno, con la prossima deadline dei derivati, si eviti un nuovo brusco ribasso e anche, per un po’, che il girare intorno ai 30 dollari diventi il new normal del prezzo”. Quale potrebbe essere la soluzione? “Nel medio periodo, alla fine è sempre domanda e offerta e dunque mercato. Se si vuole che il prezzo ritorni allo splendore dei 50/60 dollari o si chiude (e non è gratis) la produzione di alcuni giacimenti o si aumentano i consumi. Come cambierà il nostro modo di consumare petrolio dopo il virus, insomma se e come cambieranno le forme della mobilità delle merci e nostre, è però storia ancora da scrivere. Anche perché non siamo ancora al dopo e non abbiamo contezza né del quando né del come. Verrebbe da dire che per far ripartire rapidamente i consumi e, perciò, il prezzo ci vorrebbe un vaccino”.
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