Come cambia la politica d’investimento di una cassa di previdenza o di un fondo pensione in una fase prolungata di tassi zero o negativi?
La risposta a questa domanda la si ritrova andando a verificare il mutamento già in corso nelle asset allocation delle Casse di Previdenza, che mostrano una tendenziale omogeneità nel ridurre le forme di investimento c.d. tradizionali in favore di quelle alternative. In particolare la necessità di andare a recuperare rendimenti in linea con le aspettative dei rispettivi bilanci tecnici impone la necessità di modificare le scelte che, sino a poco tempo fa, caratterizzavano le politiche di investimento di questi enti. Richiamando anche l’ultimo report sugli investimenti pubblicato dall’AdEPP, associazione che ricomprende tutte le Casse dei professionisti, emerge che negli ultimi cinque anni la percentuale dedicata ai fondi di investimento mobiliare è più che raddoppiata passando dal 12,7% ad oltre il 25,6%.
Sostenere l’economia reale e assicurare i rendimenti delle Casse: una sfida possibile?
È una sfida che le Casse hanno già raccolto da tempo, anche se ciò, paradossalmente, non pare essere stato ben recepito da alcuni ambienti governativi che da una parte continuano a sollecitare l’impegno delle Casse in tal senso e, simultaneamente, invitano le Casse a limitare tali iniziative ritenute ad alto rischio; giudizio, quest’ultimo, spesso basato su valutazioni di breve termine, non considerando che questa tipologia di investimento si caratterizza per ritorni economici di medio e lungo termine. Proprio quest’ultimo aspetto invece è uno dei fattori che favoriscono l’impegno di investitori istituzionali che, per le loro caratteristiche possono permettersi di fare “investimenti pazienti” con ritorni economici di lungo termine.
Si parla da tempo di un regolamento sugli investimenti delle Casse. Quali le possibili conseguenze?
Lo schema di regolamento previsto dalla legge 98 del 2011 che da oltre otto anni giace nei cassetti ministeriali rischia di nascere già vecchio. Le Casse non sono mai state contrarie alla definizione di un sistema regolatorio per gli investimenti delle Casse, ma non si può pensare di applicare regole omogenee a Enti che di fatto sono eterogenei per dimensioni e struttura degli investimenti, vincolando la selezione degli asset a parametri quantitativi più che qualitativi. Una soluzione auspicabile è quella di definire per Decreto alcuni principi (soprattutto di natura qualitativa) cui le Casse devono attenersi nella redazione dei propri regolamenti interni che, proceduralmente, andranno poi approvati dai ministeri vigilanti (come già accade per i regolamenti previdenziali).
Come sta cambiando la previdenza e quale sarà la previdenza del futuro per i professionisti? E in concreto la sua Cassa come si sta muovendo su questo tema?
Lo scenario della previdenza sta cambiando profondamente sia a causa delle dinamiche demografiche in atto, con il progressivo invecchiamento della popolazione, sia dal punto di vista dei percorsi professionali sempre più frammentati, sia per il rapido mutamento dei mercati di riferimento. Per questo come Cassa vogliamo sviluppare ancor di più la c.d. attività assistenziale (sino ad oggi limitata a svolgere una funzione indennitaria) favorendo forme di assistenza a supporto dell’avvio, dello sviluppo, della competitività della professione. D’altronde limitare il ragionamento alla sola previdenza, non considerando che il finanziamento della stessa dipende dalla capacità di esercitare l’attività, di produrre reddito, di garantire risparmio previdenziale, è un errore che le Casse non possono permettersi di commettere.