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Clientela private sempre più esigente Intervista a Guido Celona, Consigliere Delegato di EY SpA, Responsabile del settore Financial Services Organization

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Giudica efficace l’emanazione del testo unico “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”?
Il “codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza” è stato introdotto con il D.Lgs 14/2019 e la parte più ampia di tale norma entrerà in vigore fra 18 mesi. Tale provvedimento risponde all’esigenza di riformare in modo organico la disciplina delle procedure concorsuali prevista nella c.d. Legge Fallimentare (RD n. 267/1942) e la normativa sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento specificatamente dedicata alle persone fisiche (L. n. 3/2012), coordinando tali testi con le previsioni europee ed i princìpi elaborati in materia di insolvenza dalla Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale. Fra le principali novità normative d’interesse figura la previsione degli “strumenti di allerta”, volti a consentire l’emersione anticipata della crisi dell’imprenditore. Essi consistono in obblighi di segnalazione da parte di particolari soggetti qualificati, quali gli organi di controllo societari, il revisore contabile e la società di revisione, cui spetta, a ciascuno per le proprie competenze, di verificare che gli organi amministrativi valutino tempestivamente e contrastino adeguatamente gli elementi sintomatici della crisi. Tale norma rende ancora più necessario un cambiamento culturale anche del piccolo imprenditore, che deve rafforzare la propria cultura di gestione del rischio e della prevenzione, stabilire processi organizzativi e dotarsi di strumenti di tempestiva e periodica misurazione dei risultati, con evidenti effetti sulla governance e sulla struttura organizzativa dell’impresa. D’altro canto la considerazione sui long term values, sulla sustainability, sul ruolo sociale dell’impresa è un elemento necessario ed inevitabile per poter partecipare al moderno business e crescere nei mercati internazionali, che come sempre, sono lo sbocco di moltissime nostre imprese

Che rapporto c’è tra banca e impresa?
Oggi assistiamo ad un’asimmetria culturale fra il sistema bancario che eroga il credito e l’imprenditore che deve accedere ai finanziamenti. Le banche, spinte dal regulator nazionale e da quello europeo, hanno investito negli anni per ottenere sistemi sempre più sofisticati di valutazione del credito, che si basano, anche nel momento della concessione, sulla capacità dell’impresa di rimborsare il credito con il proprio “cash flow”, piuttosto che sulla capienza delle garanzie. Il piccolo imprenditore e i professionisti che lo assistono sono in gran parte non adeguatamente preparati; oggi in larga parte delle imprese soggette alla nuova normativa, la misurazione è annuale e intempestiva; anche gli organi di governance dovranno avere un ruolo più “proattivo” nel promuovere questo passaggio culturale. E’ quindi evidente che sempre più è e sarà richiesto all’imprenditore che vuole accedere al credito bancario la presentazione di dati di previsione attendibili e documentabili, di un adeguato sistema di monitoraggio dei segnali di crisi, di un sistema di governance affidabile, magari anche di attestazioni dell’organo di controllo o del revisore sull’efficacia di tali sistemi. E’ noto a tutti che l’“NPL ratio” delle banche italiane è ben più alto della media europea ed è evidente che il regulator europeo ha come obiettivo la riduzione del NPL ratio italiano in linea con il resto d’Europa. Qualunque provvedimento che aiuti le banche nel difficile compito di continuare a ridurre tale ratio è ovviamente ben gradito al sistema bancario, che nell’ultimo decennio ha dovuto affrontare un calo impressionante della redditività per l’effetto combinato della riduzione del margine di interesse, dell’aumento delle perdite su crediti e dell’aumento dei costi operativi. 

Qual è secondo lei il valore aggiunto del Wealth Management per la gestione sicura del patrimonio?
La richiesta di servizi di Wealth Management è in crescita, in un momento storico nel quale i clienti private risultano più propensi al cambiamento, sia in termini di richiesta di servizi innovativi che di disponibilità a cambiare intermediario di riferimento. L’industria del Wealth Management sta insomma vivendo in prima persona tutte le tendenze chiave, che rappresentano allo stesso tempo una sfida ed un’opportunità, che riguarda tanto gli operatori tradizionali, leader di mercato, quanto le Fintech emergenti, intenzionate a cambiare la definizione stessa del settore. Ora è il momento, per gli operatori di mercato, di evolvere la propria value proposition. Sulla base di una nostra recente ricerca su un campione di clienti private italiani si desume che il 44% degli intervistati intende cambiare intermediario nei prossimi tre anni. Più del 40% dei clienti lower wealth vorrebbe accedere a servizi usufruiti da clientela upperwealth. L’interesse dei clienti italiani per specifiche tipologie di servizi non sempre trova riscontro in un effettivo utilizzo degli stessi, perché non sempre offerti dagli operatori.  Entro tre anni, oltre il 50% dei servizi sarà erogato tramite canale mobile. Le preferenze dei clienti stanno cambiando rapidamente concentrandosi sempre più sulle applicazioni Mobile. Saper cogliere per tempo i cambiamenti dei trend di mercato permetterà agli operatori di godere di un forte vantaggio competitivo. Solo 1/3 dei clienti intervistati ritiene eque le commissioni applicate dal proprio wealth manager. Le società di Wealth Management non valorizzano sempre adeguatamente i propri servizi. L’aumento della trasparenza, l’offerta di servizi a valore aggiunto e un’adeguata strategia di comunicazione potranno quindi migliorare i livelli di soddisfazione e fidelizzazione della clientela. 

Al centro dell’approccio di EY c’è il cliente. Ci parli delle nuove strategie di business.
Ho trascorso tutta la mia esperienza professionale in EY dove sono entrato subito dopo la laurea a fine 1983. Ho fatto una carriera senz’altro invidiabile e attualmente sono uno dei consiglieri delegati in Italia, con la responsabilità dei servizi e delle risorse dedicate al settore finanziario italiano. Potrei quindi toccare moltissimi temi sulla mia azienda, ma ci tengo a sottolineare uno specifico aspetto, di cui sono particolarmente orgoglioso, ossia la responsabilizzazione della mia società verso la diversity e l’inclusion, ossia l’attenzione e il rispetto non solo verso le nostre risorse femminili ma in generale verso tutti i nostri talenti, senza distinzione di alcun tipo (razza, colore, sesso, lingua, religione, opinioni politiche o altro, origine nazionale o sociale, orientamento sessuale,…). A tal fine, anche in Italia, abbiamo creato una specifica funzione dedicata e denominata appunto “Diversity&Inclusion” nell’ambito del nostro dipartimento Talent che si occupa delle risorse umane aziendali. La funzione si occupa appunto di facilitare lo sviluppo delle nostre risorse, ad esempio facendo rilevare al nostro top management situazioni di squilibrio numerico o di posizionamento nella gerarchia a sfavore della popolazione femminile, aiutare la popolazione maschile a dare spazio alle colleghe, proporre soluzioni di miglioramento dell’ambiente di lavoro, confrontarsi con i nostri competitor e con i nostri clienti per sviluppare una cultura condivisa. Tali attività vengono svolte in coordinamento con il nostro network internazionale seguendo i tre principi di Consapevolezza – Responsabilità – Azione. Tale iniziativa si pone, assieme ad altre, nel nostro percorso mondiale finalizzato a “Building a Better Working World”.

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