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Market review n.23 di Simone Siragusa

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La fine del 2017 sta raggiungendo livelli di capitalizzazione di mercato record. Bloomberg valuta il mercato azionario mondiale intorno ai 100 trilioni di dollari (cento mila miliardi, i.e. massimo storico). Tale crescita è accompagnata dalla scomparsa della volatilità: a tal proposito basti pensare che la volatilità a 2 mesi dei titoli azionari è addirittura inferiore a quella del mercato obbligazionario. Questo nonostante i continui interventi delle banche centrali, che vedono praticamente tutti i rendimenti dei titoli di stato europei a due anni sotto il -0.4%). La banca centrale europea durante il 2017 ha raggiunto e sorpassato la Fed per quanto riguarda la cifra di bilancio a circa 5.3 trilioni di dollari. La Fed invece è ferma a 4.6 miliardi da fine 2014, ma quello che preoccupa è l’appiattirsi della curva dei rendimenti, il che implica che il quantitative easing ha solo raggiunto un livello ulteriore di intervento sulla curva dei tassi. Con i governi che non riescono ad attrarre investimenti diretti, i rendimenti vengono ricercati sulle obbligazioni aziendali (corporate) e questo ha permesso ai bond corporate con rating investment grade di vedere crescere gli afflussi per 45 settimane consecutive, decretando un ulteriore record per l’anno incorso. Gli investimenti con rating non-investment grade Europei sono addirittura scesi ad un rendimento sotto il 3% per la prima volta durante il 2017.
Janet Yellen, nell’ultima testimonianza davanti al congresso USA ha fatto un’affermazione che è passata sotto traccia riguardo al debito USA, affermando che “Sono molto preoccupata dalla sostenibilità della traiettoria del debito federale Usa. Il rapporto tra debito e Pil del 75% non è allarmante ma non è nemmeno basso. È il genere di cose che dovrebbe tenere tutti svegli la notte”. Il maxi piano di riforma fiscale approvato da poco da Trump prevede un abbattimento delle tasse, con un abbassamento della corporate tax al 20% dal 35%, che dovrebbe favorire il rientro parziale della montagna di cash detenuto all’estero dai colossi dell’universo hi-tech, (e.g. Apple, Microsoft, Alphabet-google e Amazon), rischia tuttavia di mettere in difficoltà i conti pubblici a meno che salari, occupazione economia non registrino tassi di crescita più elevati di quelli attuali.
Secondo Michael Lebowitz, professore emerito di economia presso la Simon Fraser University del Canada, le percentuali della corporate tax sono legate a doppio filo con la crescita economica. “Un’aliquota più bassa equivale a una crescita economica più bassa nel lungo periodo. I profitti aziendali, inoltre, non sono quasi per nulla influenzati dalle aliquote fiscali”. Ma i Governi di oggi non sembrano cogliere il ruolo dello stato nell’economia hanno una visione a breve termine e semplicistica dei problemi che le economie sviluppate si trovano ad affrontare. In breve, i rialzi di borsa dovuti al taglio della corporate tax omettono un aspetto importante: dove prelevare i soldi mancanti all’appello. Se infatti nel breve termine i consumi e l’economia potranno avere un effetto positivo da tali tagli, la sfida è tenere il debito sotto controllo.

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