Un’estate bollente per i mercati obbligazionari . Lo scenario è in evoluzione ma la BCE interverrà di certo per calmare le acque se i tassi dovessero salire troppo rapidamente. Il weekly di Amundi
Le ripercussioni del discorso che Mario Draghi ha tenuto il 27 giugno (“Accompanying the recovery”) continuano a farsi sentire sui mercati obbligazionari. Il rendimento dei bund decennali tedeschi è salito questa settimana di 11 pb e ha raggiunto lo 0,57%, il livello più alto dall’inizio del 2016. In questi ultimi giorni la BCE ha indubbiamente mutato il tono dei suoi comunicati. Pur scegliendo le parole con grande cautela, Mario Draghi ha espresso la sua fiducia nelle aspettative d’inflazione. In particolare, ha affermato che “con un’economia che continua a recuperare, la politica monetaria diventerà più accomodante e la banca centrale potrà accompagnare la ripresa aggiustando i parametri dei suoi strumenti d’azione.” Questa settimana è stato il governatore della banca centrale francese a dichiarare che la politica monetaria accomodante è “efficace”, ma “non é né eterna, né onnipotente”, e che “i tassi nominali tendono
ad aumentare in funzione della ripresa economica e dell’inflazione.” I verbali dell’ultimo consiglio direttivo contengono una riflessione riguardo al ritirare o meno l’opzione di aumentare entità e durata del QE.
Sul cammino della BCE ci sono indubbiamente alcuni ostacoli, quali il rafforzamento dell’euro e il calo delle quotazioni del petrolio. Il tasso di cambio effettivo dell’euro monitorato dalla BCE (un paniere di 38 valute noto come EER 38) è ritornato su livelli che non si vedevano dall’estate 2014, prima che la BCE annunciasse il QE. In particolare, l’euro ha guadagnato il 2,3% rispetto a quando sono state effettuate le ultime proiezioni economiche (le stime sull’inflazione per il 2018 sono già state riviste al ribasso e portate dall’1,6% all’1,3%) e il prezzo del Brent è sceso del 5%. Se le cose dovessero rimanere così, le stime sull’inflazione per il 2018 verrebbero riviste al ribasso un’altra volta.
Tuttavia, sarà la dinamica dell’inflazione sottostante a determinare le scelte della BCE e soprattutto a influire sulla sua convinzione che l’economia (e in particolare il mercato del lavoro) è sulla buona strada. A titolo di promemoria, quando nel maggio del 2013 Ben Bernanke parlò di un “tapering” del QE della Fed, l’inflazione sottostante era solamente dell’1,4% e stava rallentando. Erano state soprattutto la solida dinamica dell’economia e del mercato del lavoro a indurre la Fed a “ritarare” la sua politica monetaria.
Cosa pensare di questi movimenti del mercato?
• Il netto ridimensionamento del rischio politico in Europa e l’abbandono dell’idea di ulteriori tagli ai tassi di deposito hanno consentito ai tassi a breve termine di riprendersi dall’inizio di giugno. Questo trend continuerà anche nei prossimi mesi.
• I mercati sono stati troppo pessimisti riguardo alle prospettive dei rialzi dei tassi sui fed fud nei prossimi 18 mesi e lo sono ancora (vengono previsti solo due rialzi tra adesso e la fine del 2018). Le vendite a valanga delle obbligazioni derivano dal tono piuttostohawkish dei verbali del FOMC pubblicati questa settimana.
• L’inflazione di break-even è ancora troppo bassa in Europa e salirà nei prossimi mesi grazie all’aumento dell’inflazione sottostante.
• L’irripidimento del segmento breve della curva dei tassi è in linea con la normalizzazione monetaria che si verificherà prossimamente, ma che non è imminente.
• Un elemento positivo in questo contesto di ripresa dei tassi lunghi sta nel fatto che gli spread (titoli periferici, credito) sono rimasti contenuti, ma un ritorno verso una valorizzazione più fondamentale penalizzerebbe alcuni Stati. Concludendo, questo trend ha dei buoni motivi per proseguire ancora un po’. Benoit Coeuré ha spiegato mercoledì che “esaminando il quadro economico non pensava che questo tipo di reazione del mercato fosse davvero significativa, soprattutto con le forze economiche all’opera.”