Mentre Draghi ha fatto il solito discorso abbastanza atteso sul fatto che, nonostante la crisi economica, l’inflazione non è ancora arrivata al target del 2% e la robusta ripresa economica potrebbe essere messa in pericolo da un cambiamento repentino di politica monetaria, l’euro risaliva a 1.16 dollari, il massimo da 2 anni a questa parte. In effetti le parole di Draghi erano state anticipate dal governatore della banca di Francia e membro della BCE Villeroy. Egli infatti ha dichiarato poche ore prima di che l’Istituto centrale «ha sconfitto il rischio di deflazione, ma che l’inflazione resta ancora lontana dall’obiettivo vicino al 2%. Per questo, c’è ancora necessità della nostra politica monetaria accomodante e ne stiamo adattando l’intensità in base alla situazione economica e ai progressi verso il raggiungimento del target». Giusto per capire l’entità dell’intervento della BCE, ora il suo bilancio ha una somma di attivi pari a quello del Giappone, il che non è per nulla tranquillizzante.
La Bank of Japan ha visto molti fattori unirsi e agire a favore della deflazione: il prezzo del petrolio, la pressione dell’automazione sul lavoro, le importazioni dalla Cina. Di fatto sembra che il QE giapponese tornerà per restare per molto molto tempo ancora. Il rafforzamento dell’euro rispetto al dollaro è frutto della continua politica espansiva di Draghi e, ne finirà per beneficiare la ripresa USA stessa e il Governo Trump (era uno degli obiettivi della sua campagna elettorale). Ma anche la Cina potrà accelerare la sua crescita, esportando deflazione e non risolvendo il problema e i pericoli per l’area europea. Questo inoltre favorirà una nuova fase di acquisti di imprese europee da parte della Cina, sempre più superpotenza economica. Difficile per l’Europa rappresentarsi politicamente se solo Draghi difende ormai l’idea di Europa (e la moneta non è lo strumento più adatto). Il rischio più grande quindi, oltre una ripresa incerta e frammentata (e non robusta come Draghi sottolinea) è quindi che l’enorme debito della BCE accumulato negli anni di Draghi non serva a produrre stabilità e crescita.
La Cina invece ha visto una ripresa molto rapida, con il settore immobiliare che è tornato a crescere a doppia cifra a giugno. L’Europa divisa rappresenta quindi un bersaglio facile per Cina e USA e, tutto sommato isolato da un punto di vista politico.