Il braccio di ferro degli Stati Uniti con la Cina si è finora concentrato principalmente sulle tariffe. L’attuale prelievo del 10% sulle merci cinesi importate negli Stati Uniti salirà al 25% nel mese di gennaio a meno che non si arresti questo processo. E incombe ancora una grande minaccia per estendere le tariffe per tutte le importazioni cinesi. Eppure le tensioni commerciali sono solo un aspetto di una fase competitiva nelle relazioni USA-Cina che si trova solo agli inizi. Cosa è auspicabile aspettarsi dalla riunione questa settimana a Buenos Aires del G20? Una sospensione da parte degli Stati Uniti sulle escalation delle tariffe e l’impegno a lavorare per un quadro più ampio per il commercio. Una tregua temporanea, tuttavia non sarebbe sufficiente a cancellare le nuvole a più lungo termine. La fiducia delle imprese in Cina e negli Stati Uniti ha già subito un colpo, stimolando una potenziale cautela nei piani di spesa aziendale a lungo termine. Il rischio per una deriva negativa è forte: la mancanza di progressi nei colloqui potrebbe riaccendere i timori di una svalutazione dello yuan cinese. Le attività maggiormente esposte ai rischi di peggioramento delle relazioni – come ad esempio un ampio numero di azioni cinesi, le scorte della supply chain tecnologica asiatica e le small-cap di materiali – potrebbero essere soggette ad un’altra riduzione di valore.
In questo contesto a livello macro, ci sono anche ragioni impellenti a livello micro affinché si consideri in Europa di riproporre una nuova Tltro per sostenere la liquidità nei mercati: oltre alla diminuzione di domanda esterna a causa dei timori di una lunga guerra commerciale, le fonti di tensione come l’Italia e la Brexit hanno portato ad un rallentamento della crescita, quindi potrebbe essere considerato uno strumento efficace nelle mani della Bce per evitare la stretta delle condizioni creditizie in una fase di aumento dei rischi macroeconomici. In assenza di una nuova Tltro infatti è probabile aspettarsi che aumenti il costo di finanziamento delle banche visto che dovranno sostituire i flussi a basso costo della Bce con la raccolta sul mercato. Questo si tradurrebbe in costi più alti per i prestiti ai privati e a una riduzione dell’erogato, soprattutto per le banche meno patrimonializzate e quelle della periferia, con un focus particolare su quelle italiane. L’effetto combinato di rialzo del costo dei finanziamenti e minori flussi erogati porterebbero a esacerbare l’effetto della fine del Qe e della rimozione dei tassi negativi in un momento in cui aumentano i rischi macro. Inoltre i ratio di liquidità delle banche potrebbero peggiorare e questo porterebbe gli istituti di credito a ridurre l’attività nel mercato monetario. Infine l’aumento della necessità di funding delle banche porterebbe a un aumento della rischiosità dei titoli unsecured. Tutti questi fattori insieme potrebbero compromettere la trasmissione della politica monetaria. Le banche italiane sono state al centro della discussione della necessità di fare un nuovo Tltro, visto che sono state quelle che hanno ottenuto la maggioranza dei fondi (240 miliardi, ossia il 7% degli asset totali secondo una fonte pubblicata da Barclays). Questi fondi sono stati usati soprattutto per rifinanziare bond in scadenza e dare prestiti, e solo con un limitato uso per acquisto di titoli.
Posted on