Una ripresa economica sincrona sembra essere il termine più largamente condiviso per definire l’economia globale in corso dall’inizio dell’anno. Il tasso di crescita globale della produzione industriale si è rafforzato lo scorso anno ai massimi dagli ultimi sei anni, e ci si aspetta che il PIL globale continui a espandersi a tassi sostanzialmente simili nel 2018 e nel 2019, rispetto a quelli raggiunti nell’ultima fase del 2017.
Con la ripresa della crescita e la minaccia della deflazione che si sta ritirando per la maggior parte delle economie, le banche centrali stanno rimuovendo le proprie politiche monetarie accomodanti. La Fed ha aumentato i tassi di 125 bps rispetto agli ultimi due anni, e ci si attende ancora un ulteriore aumento nel 2018, in modo del tutto analogo si stanno muovendo sia la Bank of Canada sia la Bank of England. La BCE dal canto suo è già proiettata, dopo l’esaurimento progressivo del QE annunciato per settembre 2018, ad un lento processo di rialzo dei tassi nel prossimo anno.
Quello a cui abbiamo assistito in queste ultime due settimane è che bastano piccoli segnali di debolezza quali le aspettative sulle vendite finali nel mercato domestico US da una parte, e aumenti attesi del tasso di inflazione e di interesse dall’altro, a modificare le ottimistiche prospettive da parte dei mercati con la conseguenza di grandi aggiustamenti dei mercati finanziari avvenuti nel corso della scorsa settimana. In questo contesto ci si aspetta una tendenza al ribasso del dollaro dal momento che la Fed inizia a stringere sulle politiche di sostegno e che le banche centrali straniere iniziano ad allinearsi alla Fed sull’allentamento alle politiche di sostegno.
Ci sono chiaramente poi un certo numero di eventi geopolitici che, se dovessero accadere, potrebbero aumentare l’avversione al rischio tra gli investitori e le imprese, indebolendo così le prospettive di crescita. Crescita che potrebbe anche indebolirsi se le banche centrali diventassero troppo aggressive rispetto alla rimozione delle loro politiche monetarie attuate in questi ultimi anni. Solo dunque se questi rischi dovessero concretizzarsi, l’economia globale non potrebbe continuare a espandersi anche quest’anno a ritmi solidi.
Con queste premesse, sarebbe proprio un errore pensare che le cose torneranno alle precedenti miti condizioni, la questione del risveglio dell’inflazione sarà ora attentamente monitorata, soprattutto perché potrebbe generare volatilità in tutte le attività d’investimento: anche la volatilità del mercato del credito è aumentata quando il VIX è decollato intorno ai primi di Febbraio, i rendimenti dei titoli di stato statunitensi ed europei sono aumentati così come gli spread dei titoli high-yield e investment grade sono entrambi aumentati.
Il vantaggio di questa recente correzione, dovuta anche a ragioni tecniche avendo il mercato puntato su una serie di strategie short-volatility che hanno fatto registrare la più grande variazione percentuale storica del VIX, è che il mercato stesso è stato in parte ripulito e che gli investitori sono stati avvertiti. Di per sé, questa è una fonte di stabilità del mercato, ma la volatilità tornerà non appena i segnali di risveglio dell’inflazione verranno confermati, pur considerando che solo un moderato aumento dell’inflazione è previsto negli Stati Uniti e che i mercati, che erano rimasti troppo preoccupati per la deflazione solo fino a poche settimane fa, ora stanno cogliendo un singolo dato statistico mensile per scontare l’altrettanto esagerate preoccupazioni sull’inflazione.
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