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“Piani inutili senza nuove quotazioni” di Carlo Maria Pinardi presidente di Analysis Spa - Corriere della Sera del 05.06.2017

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Il grande successo che sta riscuotendo una delle misure di “Finanza per la crescita” – i Pir Piani Individuali di Risparmio – rischia di trasformarsi in un boomerang per assenza di “materia prima” su cui questi fondi possano investire. I Pir sono nati con l’obiettivo di veicolare i risparmi delle famiglie verso le imprese italiane e in particolare verso le  medie imprese. Il 70% dell’investimento deve essere appunto destinato a strumenti finanziari emessi da imprese italiane o europee con stabile organizzazione in Italia e di questo 70%, almeno il 30% deve essere investito in strumenti finanziari emessi da imprese che non siano inserite nell’indice Ftse Mib di Borsa italiana. E qui si pone il problema. Innumerevoli studi spiegano che c’è una gran quantità di “small cap” attraenti e competitive che potrebbero accedere al mercato: nessun altro Paese europeo può contare su una simile ricchezza. Il successo del progetto “Elite” di Borsa Italiana ha ampiamente dimostrato che le aziende ci sono e che stanno in parte cambiando pelle. Solo considerando le società italiane di “Elite” stiamo parlando ad oggi di oltre 340 aziende con un fatturato aggregato di 36 miliardi di euro con più di 140.000 dipendenti. La storica reticenza degli imprenditori italiani verso la trasparenza ed il mercato finanziario sta dunque finalmente cambiando: si tratta quindi di liberare finalmente questo straordinario potenziale. Ancora troppo lentamente però. Uno dei problemi da affrontare resta legato al rapporto col regolatore che spesso spaventa imprese agili e attente ai costi abituate a interagire con grande rapidità e chiarezza. Nonostante alcuni miglioramenti la Consob spesso non è in grado di assicurare tempistiche certe e procedure snelle. Un esempio? La documentazione ridondante richiesta per poter accedere alla quotazione. I cambiamenti sono in atto ma potevano essere fatti molto tempo fa. Occorre dare un segnale forte che la Commissione sia più vicina – anche fisicamente, trasferendo alcuni uffici chiave – al mercato. E che possa assumere risorse competenti con procedure assai più snelle.
Per rimediare immediatamente a questa mancanza di “materia prima” è indispensabile prevedere incentivi veri alla quotazione, ad esempio con un credito d’imposta che riduca – o meglio ancora azzeri – i costi quotazione che rappresentano un ostacolo assai rilevante per imprese dai 50 milioni al miliardo di fatturato. Basterebbe un provvedimento limitato nel tempo con un investimento contenuto da parte dello Stato ma in grado di dare un’accelerazione straordinaria all’intero processo. Ciò consentirebbe, finalmente, di capitalizzare un buon numero di medie imprese italiane e di consentirne la crescita dimensionale e l’internazionalizzazione, affiancando i private equity già attivi in Italia, rendendo nel contempo assai più agevole il compito delle banche. Queste imprese da possibili prede avrebbero in tal modo le risorse per diventare loro stesse predatrici e crescere. Si otterrebbe in tal modo un duplice effetto: quello di attrarre investimenti da parte degli intermediari finanziari internazionali e quello di determinare lo sviluppo di dipartimenti dedicati all’analisi finanziaria delle aziende quotate.
Occorre aumentare le dimensioni del mercato domestico per attrarre investitori istituzionali e intermediari finanziari che necessitano di volumi adeguati di contrattazione per investire. Le infrastrutture non mancano, grazie a Borsa Italiana, ma servono collocamenti di società attraenti. Manca un piano strategico per arrivare in qualche anno a mille società quotate. Ma intanto farne arrivare rapidamente alcune decine sarebbe già un segnale. I Pir funzionano: fallire per troppo successo non è un’opzione accettabile.

Carlo Maria Pinardi

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