In attesa di decidere cosa fare da grandi le 370 aziende italiane (di cui un centinaio del Centro-Sud) che hanno già aderito al progetto Elite di Borsa Italiana hanno adesso un’opzione in più per patrimonializzarsi e divenire ancor più internazionali. Da un paio di mesi è stata avviata Ecd – Elite Club Deal – una novità dal grande potenziale. Le società Elite hanno un fatturato medio di 80 milioni di euro, un’ottima redditività lorda (EBITDA di circa il 15%), una crescita del fatturato medio annuo pari al 14% ed una quota di export superiore al 50% del giro d’affari. Insomma dei veri fenomeni. Quasi il 30% di queste “small cap” Elite – un eccellente esempio delle medio-piccole aziende italiane che potrebbero, anzi dovrebbero, aprirsi maggiormente ai mercati finanziari – ha già messo in atto oltre 200 operazioni di finanza “straordinaria” (acquisizioni, joint ventures, aumenti di capitale per private equity o sul mercato azionario, emissioni obbligazionarie, ecc) per 3,2 miliardi di euro complessivi. Numeri consistenti e segnali incoraggianti.
Tra le opzioni a loro disposizione si aggiunge Ecd, una piattaforma privata per la raccolta primaria di capitali accessibile ai soli investitori istituzionali – soggetti quindi in grado di diversificare opportunamente il portafoglio riducendone il rischio – che possono investire fino ad un massimo del 10% del proprio portafoglio (a meno che si tratti di Ucits che possono superare questa soglia). Al momento la piattaforma ha trattato quattro operazioni di equity per diverse dimensioni (da 6 a 100 milioni di euro), un’operazione convertibile, mentre a breve dal sul fronte degli strumenti di debito 24 società italiane stanno per emettere ciascuna un bond che confluisce in un “Basket” per un ammontare complessivo fra i 200 ed i 300 milioni di euro (tramite un veicolo Spv). La piattaforma è completamente gratuita per partner, intermediari e investitori, e si applica solo una “success fee” per le società in relazione agli importi raccolti: una scelta assai interessante e innovativa.
Il problema, ancora una volta, resta la liquidità dei titoli. Gli investitori istituzionali sono disposti ad investire a condizione che in tempi congrui i titoli in questione divengano sufficientemente liquidi. Questo vale anche per i Pir, Piani Individuali di Risparmio, che però hanno il vantaggio di essere investitori di lungo termine e pertanto investitori pazienti che possono rappresentare la svolta per il mercato delle medio-piccole aziende italiane. Il fatto che, ad esempio, un solo operatore abbia già raccolto oltre 1 miliardo di fondi per i Pir e che questi abbia investito sinora in small caps italiane solo 29 milioni di euro la dice lunga sul fatto che i gestori si muovano giustamente con prudenza per evitare il rischio di bolle e che la materia investibile sia scarsa. Non utilizzare anche la nuova piattaforma Ecd sarebbe però una scelta miope. Cinque anni sono davvero tanti e permettono di fare scelte coraggiose: l’opportunità è ghiotta e va sfruttata. Un passaggio auspicabile – e forse ineludibile per i Pir – è che, pur considerando i grandi sforzi di analisi richiesti per investire nelle small caps, si riducano progressivamente le commissioni di gestione richieste attualmente. A ciò dovrebbe affiancarsi finalmente una corsia preferenziale, soprattutto sul piano dell’agilità dei rapporti col regolatore e magari di agevolazioni fiscali temporanee, per accelerare l’avvio alla quotazione delle small cap. Comunque un mondo in movimento che fa ben sperare.
Posted on