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“Più resistenze a stimoli monetari” Intervista a Bruno Usai Chief Investment Officer di Mavors Investment Managers LLP

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Il recente rialzo dei tassi a medio-lungo va interpretato come un ritorno delle aspettative d’inflazione?

Non solo le aspettative d’inflazione ma anche i tassi reali sono in aumento. In particolare negli USA, la prospettiva di un ampio stimolo fiscale da parte della nuova amministrazione in un’economia che è già prossima al pieno impiego, spinge i mercati a “scontare” un’accelerazione dell’inflazione. L’impatto di tali politiche è tuttavia anche reale, quindi anche da questo lato la curva dei tassi viene spinta al rialzo. Da notare che la maggior parte degli economisti non ha apportato cambiamenti sostanziali alle loro proiezioni di crescita e inflazione per il 2017, quindi gli operatori di mercato sembrano avere estrapolato un significativo impatto dalle vicende politiche e dati economici degli ultimi mesi.

Cos’altro si aspetta a breve da Fed e BCE?

Nella zona Euro non ci sono ancora le condizioni per ridurre le misure di stimolo monetario, anche sotto il profilo del mandato della banca centrale rispetto all’inflazione (che secondo le proiezioni della BCE rimane nei prossimi tre anni sotto la soglia del 2%). Tuttavia ci sono grosse resistenze “politiche” all’interno della BCE a continuare con il QE. In generale dopo anni di QE in US, UK Giappone, Europa, si sta facendo strada il concetto che siamo arrivati alla fine di queste politiche, perché  la loro efficacia è in diminuzione. Per la Fed, é naturale aspettarsi la continuazione del processo di normalizzazione dei tassi iniziata un anno fa, seppur a ritmi lentissimi. Potrebbero accelerare il ciclo due fattori: da un lato l’impatto inflazionistico delle politiche fiscali di Trump; dall’altro il cambiamento della composizione del comitato della Fed, dove alcuni nuovi membri saranno sostituti nel corso del 2017.

E in Gran Bretagna quali le aspettative nell’anno in cui si dovrebbe realizzare la Brexit?

I proponenti della Brexit avevano presentato l’uscita dall’UE come una scelta politica che avrebbe avuto dei costi di breve termine ma benefici nel medio-lungo termine. In realtà l’impatto a breve sulla crescita è stato modesto (anche grazie alla sostanziale svalutazione del cambio) ma la leadership Britannica sta ora rendendosi conto della complessità, dei costi e dei rischi che nel medio termine l’uscita dall’UE può comportare. Anche il quadro politico potrebbe deteriorarsi nel 2017, qualora il governo attuale non si dimostrasse all’altezza del compito.

Dopo l’esito negativo del referendum in Italia si aspetta conseguenze negative per l’Eurozona?

Penso che gli operatori esteri guardino al di là dell’esito del referendum e si focalizzino con apprensione sulla situazione strutturale dell’Italia: crescita zero, instabilità politica, mancanza di progresso nelle riforme sociali ed economiche e crisi del sistema bancario, quattro aspetti che ovviamente sono tutti legati tra loro. L’esito del referendum ha probabilmente marginalmente rafforzato queste tendenze, visto che il governo ha dato le dimissioni, ma non rappresenta un fattore determinante. Chiaramente c’è il rischio di una svolta “populista” dell’Italia che avrebbe importanti ripercussioni nel quadro politico europeo e che aumenterebbe l’incertezza sui mercati.

I mercati hanno reagito bene alle dimissioni di Renzi e al downgrade di Moody’s. Come lo spiega?

L’impressione è che il governo indebolito di Renzi non avesse la forza di trovare una soluzione (impopolare) ai problemi immediati del sistema bancario italiano. Un governo tecnico, con la “guida” dell’Europa, verrebbe invece visto come un facilitatore per tale soluzione. Da notare anche che il programma di acquisto della BCE agisce da ammortizzatore contro potenziali shocks causati da eventi politici o deterioramento del rating.

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